Usa – Cina: Trappola di Tucidide o regola dell’equilibrio di potenza?

di Antonio Carbonelli *

Graham Allison di Harvard e M.C.Miller di Boston, con l’espressione “La trappola di Tucidide” evocano il rischio di una guerra tra Usa e Cina, volta al mantenimento, o al mutamento, nella supremazia economica e strategica mondiale: ma non sanno proporre esiti alternativi.
Eppure l’alternativa c’è già: negli stessi storici greci e nella storia della filosofia.
Ma procediamo con ordine. Come riassume bene Dario Rivolta su questa rivista, Da un po’ di tempo a questa parte diversi analisti di politica internazionale usano volentieri i concetti della “Trappola di Tucidide” per parlare dei rapporti tra Cina e Stati Uniti.
Tucidide fu uno storico greco che sostenne fosse inevitabile scoppiasse la guerra tra una potenza dominante in declino e una nuova potenza nascente che aspirasse a prenderne il posto.
Se applicassimo quel criterio alla situazione del mondo di oggi non dovremmo nemmeno domandarci se scoppierà una guerra tra la Cina e gli Stati Uniti.
La sola domanda che potremmo porci è quando.
Il primo a evocare uno scenario del genere in anni recenti è stato Graham Allison, politologo e professore a Harvard, nel libro “Destinati alla guerra” Possono l’America e la Cina sfuggire alla trappola di Tucidide? (2017).
M.C.Miller, senior Fellow presso il Council on Foreign Relations e Professore Associato di Relazioni Internazionali presso la Boston University, lo scorso 18 giugno su Foreign Affairs di luglio/agosto 2024 ha pubblicato un articolo intitolato “Il gioco più pericoloso – Le transizioni di potere portano sempre alla guerra?”. L’autrice sostiene che all’inizio molti a Washington pensavano che l’ascesa della Cina potesse essere gestita. Oggi però quella speranza sta morendo. La moderna teoria della transizione di potere ha avuto origine con il politologo A.F.K.Organski, che ha dato un fondamento teorico generale al problema articolato per la prima volta da Tucidide, nel 1958. Applicato oggi agli Stati Uniti e alla Cina, questo inquadramento suggerisce un esito disastroso.
Ma il modo in cui il potere dello status quo gestisce l’ordine internazionale può determinare se la rivalità si trasforma in conflitto. Per esempio, Sparta era lenta ed esitante nel difendere gli stati amici. Le potenze emergenti spesso cooperano tra loro per modificare le strutture esistenti della governance globale.
Ma la grande potenza ha anche la capacità di cambiare l’ordine in modi che limitano questi pericoli.
Piuttosto che cercare di affrontare direttamente la Cina gli Stati Uniti dovrebbero determinare come cambiare l’ordine per rafforzare il proprio potere.
Un approccio promettente è quello di affrontare questioni che non sono ancora disciplinate da norme internazionali, come la sicurezza informatica, i social media, i flussi di dati transfrontalieri, la sicurezza alimentare, la preparazione alle pandemie e l’intelligenza artificiale.
Per ristrutturare veramente l’ordine tuttavia gli Stati Uniti hanno bisogno anche del consenso dei loro alleati. Washington non può riposare sugli allori. La transizione di potere è in arrivo: la Cina è ancora in ascesa e potrebbe avere presto la capacità di rivedere l’ordine internazionale.
Se gli Stati Uniti sperano di evitare questo risultato, non possono semplicemente fare affidamento sul confronto con la Cina o lamentarsi di come la Cina sta giocando il gioco. Dovrà cambiare il gioco stesso.
In realtà anche M.C. Miller non propone nessun esito alternativo: si limita a chiedersi come gli Usa potrebbero cercare di rallentare l’ascesa della Cina e il momento della transizione, dando per presupposto che debbano mantenere una posizione di supremazia sul resto del mondo.
Eppure in contrasto con lo scenario evocato dai professori di Harvard e Boston, l’ipotesi che possano esistere dei determinismi storici è tutta da discutere.
Popper, opponendosi al determinismo storico di Marx, in “La società aperta e i suoi nemici” (1943) rileva che Il futuro dipende da noi stessi e noi non dipendiamo da alcuna necessità storica. Ci sono tuttavia filosofie sociali influenti che sostengono il contrario e che pretendono di aver scoperto le leggi della storia capaci di mettere in grado di profetizzare il corso degli eventi storici.
Obiettando che, al contrario, l’uomo è l’artefice del proprio destino e che, in conformità con i nostri fini, possiamo influenzare o cambiare la storia dell’uomo, precisamente come abbiamo cambiato la faccia della terra.
L’ipotesi della c.d. trappola di Tucidide inoltre è radicalmente smentita dalla storia economica e dalla successione dei mutamenti storici nella supremazia economica e militare verificatisi nei secoli successivi all’antica Grecia.
L’Impero Romano, prevalso nel mondo nei dodici secoli che intercorrono tra la fondazione di Roma e la caduta dell’Impero Romano d’occidente, non è stata superato per una trappola di Tucidide.
L’Impero romano è franato dopo che non ha avuto province ulteriori da conquistare e da saccheggiare, e dopo alcuni secoli di consumismo e di depravazione dei costumi, descritti bene da Seneca nelle “Lettere a Lucilio”.
Anche la supremazia economica italiana, prevalsa nel mondo dopo il medioevo per circa altri sette secoli nel periodo che intercorre tra le repubbliche marinare e le città mercantili italiane, e della quale resta ampia traccia nel patrimonio artistico, unico al mondo, delle città italiane, non è stata superata per una trappola di Tucidide.
Come rileva Beccaria nel 1762, è il superamento del Capo di Buona Speranza quello che costa all’Italia la perdita del commercio e di conseguenza del denaro: prima l’Italia è centro d’ogni commercio e patria di tutte le nazioni; cambiata la direzione dei viaggi, è in un angolo.
Anche la supremazia economica spagnola, prevalsa nel mondo dopo quella italiana nel periodo successivo alle scoperte geografiche, non è stata superata per una trappola di Tucidide.
Come rileva proprio l’autore inglese Keynes nel 1930, gli investimenti inglesi all’estero iniziano con il tesoro che Drake ruba alla Spagna: la regina Elisabetta I è una forte azionista del gruppo che finanzia la spedizione, e con la sua quota di ricavi paga tutto il debito pubblico, riporta in pari il bilancio, e si trova in mano ancora sterline, che investe nella Compagnia del Levante, con i cui profitti è poi fondata la Compagnia delle Indie Orientali: la base degli investimenti inglesi successivi all’estero sono i profitti di questa grande impresa.
Anche la supremazia economica inglese a sua volta prevalsa nel mondo per altri due secoli, non è stata superata per una trappola di Tucidide.
Come rileva proprio un altro inglese, Skidelsky, nella sua monumentale biografia di Keynes (1983), la supremazia economica inglese a livello mondiale, quanto meno con riguardo all’economia reale, è cessata durante la Prima guerra mondiale, e ha una data precisa: l’estate del 1916, quando il Regno Unito, per poter proseguire una guerra da esso stesso caldeggiata per altre finalità, è dovuto ricorrere ai prestiti di oltreoceano.
E come rileva uno storico tedesco, Fried, nel 1932, l’avvenimento decisivo della storia economica del tempo è che con i debiti contratti da Francia e Inghilterra per affrontare la Prima guerra mondiale gli Usa passano da paese debitore a creditore del mondo intero. Tanto più che dopo la guerra gli Usa rifiutano di collaborare, dichiarando che al tempo della guerra di secessione loro avevano pagato puntualmente i debiti contratti con l’estero.
Se ne deve concludere necessariamente che, al di là del caso descritto da Tucidide nella Guerra del Peloponneso con riferimento all’emergere di Atene rispetto a Sparta, i mutamenti nella supremazia economica e strategica mondiale non si sono mai verificati per effetto di una guerra finalizzata al mantenimento, o al mutamento, di detta supremazia.
Il che costituisce la confutazione delle teorie sulla c.d. transizione di potere proposte da Organski, e più di recente da Allison, e fatte proprie implicitamente dalla stessa Miller: che costituiscono pertanto una generalizzazione indebita del caso del rapporto tra Atene e Sparta.
In realtà, esistono anche altre dinamiche che intervengono nelle transizioni storiche.
Una di queste è la caratteristica di invocare la tolleranza finché si tratta di conquistare posizioni di potere, poi negarla agli altri quando si tratti di mantenere le posizioni di potere raggiunte.
Persino il cristianesimo, nel 313 d.C., viene ammesso come culto nell’Impero romano con un editto detto di tolleranza, poi arriva a condannare a morte i dissidenti facendoli ardere vivi sul rogo.
E persino il liberismo economico prima s’è fatto strada nel nome dei valori illuministici di libertà e tolleranza, poi, una volta affermatosi, con Milton Friedman nel 2002 è arrivato a teorizzare che la libertà politica, per quanto possa essere auspicabile, non è condizione necessaria per la libertà economica e civile.
Ma è troppo comodo prima invocare tolleranza e libertà di pensiero finché si è su posizioni di dissenso, poi sopprimerle, una volta raggiunte posizioni di potere.
Non è che una delle manifestazioni del doppiopesismo, rilevato già da Gorgia nel periodo dei c.d. filosofi presocratici, per cui le vittorie dei Greci sui barbari richiedono canti celebrativi, quelle dei barbari sui Greci canti funebri.
Doppiopesismo rilevato ripetutamente, negli anni più recenti, da Chomsky nei suoi testi di analisi della politica internazionale e della relativa propaganda.
Un’altra dinamica che interviene nelle transizioni di potere e che ne può modificare il corso è quella rilevata da Hume nel saggio sull’”Equilibrio di potenza” (1752).
Ci si domanda, si chiede Hume, se l’idea dell’equilibrio di potenza sia dovuta interamente alla politica moderna.
Chiunque legga Senofonte, Tucidide, l’orazione di Demostene per i cittadini di Megalopoli, può trovare le elaborazioni più sottili di questo principio, quali mai vennero in mente a un teorico veneziano o inglese.
La ragione per cui si è supposto che gli antichi ignorassero completamente il concetto di equilibrio di potenza sembra provenga dalla storia romana, più che da quella greca: i romani non si sono mai trovati contro un’alleanza generale o una confederazione di stati, e fu loro permesso di sottomettere tranquillamente uno dopo l’altro i loro vicini, fino a che estesero il proprio dominio sull’intero mondo conosciuto.
Filippo di Macedonia rimase neutrale finché non vide le vittorie di Annibale; quindi, con la più grande imprudenza strinse un’alleanza con il vincitore, stipulata in termini ancora più imprudenti.
E un’ulteriore e valida prova che quel principio non era allora generalmente conosciuto può essere individuata nel fatto che nessun autore antico ha rilevato l’imprudenza di tali decisioni, senza neanche biasimare quell’assurdo trattato fatto da Filippo con i Cartaginesi.
Come si enuncia dunque il principio in questione? Non dovrebbe mai essere posta in una sola mano, spiega Hume, una forza tale da rendere impossibile agli stati vicini di difendere i loro diritti contro di essa. Ecco il fine della politica moderna, espresso in termini chiari.
E in realtà anche attualmente il principio, quantunque sia in generale conosciuto e rispettato da chi ragiona e specula, non ha in pratica un’autorità più vasta tra coloro che governano il mondo.
Ecco dunque l’alternativa alle c.d. transizioni di potere.
Tutto ciò, ovviamente, non esclude affatto che nei prossimi anni gli Usa, nel tentativo di mantenere una propria supremazia sul resto del mondo, possano compiere dei passi sconsiderati.
Il problema pare infatti che tentata di innescare una guerra sia più la potenza in declino, che la potenza in ascesa.
Ma tutto ciò esclude anche che esista una qualche forma di determinismo storico, come rileva bene Popper.
Che senso ha, allora, evocare in questi anni il passo di Tucidide?
Si vogliono mostrare i muscoli di fronte all’avversario emergente?
O peggio, si vuole far abituare gradatamente l’opinione pubblica all’ipotesi dello scoppio di una guerra, come era avvenuto in Europa all’alba della I guerra mondiale?
Eppure evocare venti di guerra è comunque pericoloso: come insegna la teoria della riflessività di Soros, v’è il rischio di provocare ciò di cui si sta parlando.
Specialmente quando l’uomo, con l’impiego di armi nucleari, è in grado di porre fine all’esperimento umano sulla terra, come rileva bene Chomsky.
Ma se il principio dell’equilibrio di potenza è stato trascurato in passato, e anche dal 1945 a oggi, non è detto che lo si debba continuare a trascurare in futuro.
In fondo, sono gli stessi Usa che, in un futuro più o meno prossimo, potrebbero avere essi stessi convenienza a praticare la regola dell’equilibrio di potenza.
E potrebbero avere convenienza a lasciarla praticare alla stessa Europa: non ridotta a restare al livello di una mera unione monetaria e di libero scambio imposta a economie diverse, ma evoluta in un reale stato federale.

* Avvocato giuslavorista e filosofo a Brescia.