di Shorsh Surme –
Quando si parla dell’industria petrolifera siriana, è necessario ritornare alle statistiche e alle informazioni disponibili nella letteratura specializzata prima dello scoppio della rivoluzione del 2011, e alle voci che seguirono all’epoca secondo cui uno dei motivi principali della rivoluzione era il incapacità di costruire un gasdotto dal Qatar verso la Turchia e poi verso l’Europa a causa delle differenze geopolitiche sull’impossibilità che i gasdotti attraversassero il nord dello Stato del Qatar. La stragrande maggioranza delle esportazioni del Qatar sono gas liquefatto attraverso una flotta marittima specializzata e non attraverso gasdotti.
All’inizio della rivoluzione del 2011 si è diffusa anche la voce di “non permettere” alla Siria di scoprire e sviluppare i propri giganteschi giacimenti di gas, anche se l’esplorazione delle terre siriane o la possibilità della disponibilità di enormi giacimenti di gas non erano state ufficialmente annunciate.
Le statistiche sul petrolio siriano nel periodo precedente alla rivoluzione del 2011 indicano che il tasso di produzione nel periodo dal 2008 al 2011 ammontava a circa 400mila barili al giorno e che la stragrande maggioranza delle esportazioni, pari a circa 200mila barili al giorno, era diretta ai paesi europei. Dato che i proventi petroliferi prima della rivoluzione del 2011 andavano direttamente alla presidenza, è difficile ottenere informazioni accurate sui ricavi della Siria derivanti dalle esportazioni di petrolio nel periodo precedente la rivoluzione.
Durante la rivoluzione la produzione petrolifera siriana è peggiorata fino a raggiungere nel 2015 circa 15mila barili al giorno, secondo la US Energy Information Administration, circa 40mila barili al giorno di petrolio greggio e liquidi, secondo le stime del quotidiano Asharq al-Awsat.
L’industria petrolifera siriana ha sofferto molti aspetti negativi durante la guerra. La stragrande maggioranza dei giacimenti si trova nell’est, dove le milizie controllano queste zone, per questo motivo le grandi compagnie internazionali che vi operavano durante lo scoppio della guerra civile (la francese “Total”, l’americana “Conoco” e l’europea “Shell”) furono costrette a ritirarsi per la sicurezza dei propri dipendenti e dei lavoratori, spingendo le milizie a impadronirsi dei campi. La milizia jihadista ha svolto diversi ruoli negativi durante il controllo dei siti di estrazione: produzione da pozzi e campi in modi primitivi, che hanno danneggiato le riserve e causato una riduzione della capacità produttiva.
Sarà quindi necessario riesaminare in futuro le condizioni tecniche dei pozzi da parte delle società internazionali di servizi di ingegneria petrolifera, che potrebbero impiegare anni per ripristinare la precedente capacità.
Ci sono stati anche bombardamenti e sabotaggi di impianti petroliferi, poiché l’area operativa della compagnia statunitense Conoco, ad esempio, si è trasformata in una base militare Usa, che è stata spesso bombardata dalla Guardia rivoluzionaria iraniana e dalle Forze di mobilitazione popolare irachene.
Milizie e bande lavoravano per contrabbandare petrolio a molteplici soggetti: raffinerie turche, forze militari del precedente regime, popolazione civile nelle regioni centrali e orientali e persino gli stessi eserciti stranieri. Queste operazioni di contrabbando coinvolgevano bande di persone corrotte con legami con le autorità e operazioni di contrabbando. Le milizie hanno potuto beneficiare del carburante contrabbandato attraverso il confine illegale libanese-siriano per soddisfare parte della domanda interna siriana. La Siria ha ricevuto anche spedizioni non specificate o regolari di petrolio iracheno (via terra) e petrolio iraniano (via mare).