di Cesare Scotoni –
Nel 2011, sulla vicenda libica, l’asse previlegiato tra Francia, Germania e Italia, che con Schuman, Adenauer e Degasperi fu la prima risposta politica postbellica di un’Europa ferita e divisa, si incrinò irrimediabilmente. La debolezza italiana in quella situazione, ascrivibile a più di uno dei protagonisti istituzionali di quelle scelte, minò però l’oggettiva capacità di Londra di utilizzare il suo peso nella NATO e negli accordi seguiti alla resa del nostro Paese nel settembre 1943 nell’essere un recalcitrante cooprotagonista del progetto di Unione Europea, in nome del proprio arsenale nucleare.
Dopo lo scontro tra Germania e Londra del 2013 sulle politiche di allargamento, culminato con i cecchini di piazza Maidan in Kiev, la pretesa di Francia e Germania di essere i garanti verso l’ONU degli equilibri previsti dagli accordi di Minsk che Londra vedeva come il fumo negli occhi, la scelta di Londra di pesare sul continente solo attraverso la NATO si fece più evidente. Con il referendum del 23 giugno 2016 il Regno Unito si trovò così ad avviare un articolato percorso destinato a dimostrare al mondo che l’appartenenza all’Unione Europea prevedeva un diritto di recesso e la possibilità per un partner di sfilarsi da quel Progetto. Che ancora resta un assieme di molteplici accordi bilaterali tra Paesi che non condividono né il Diritto, né la Moneta, né la Difesa, né dei meccanismi di Governance assoggettati a processi di controllo democratici e priva quella Comunità di Intenti che viene tradizionalmente riassunta in una Costituzione su cui decidere le Politiche.
Nel frattempo la Francia, sia pur in palese crisi di leadership nella propria sfera di influenza in Medio Oriente come in Africa per la concorrenza prima cinese e poi russa, era comunque pronta a fornire a Mosca le proprie portaerei e si ritrovava con il primo gennaio 2020 ad essere l’unico Paese dell’Unione Europea in grado non solo di “mettere sul piatto” una capacità offensiva, ma soprattutto di vantare un proprio deterrente nucleare.
Dopo l’emergenza terrorismo utilizzata per “sospendere” più volte Schengen ed il controverso pretesto del Cov19 per verificare la reattività dei singoli membri dell’Unione all’introduzione di “prassi emergenziali” e la rivendicazione dell’aver tradito il proprio ruolo di garanti verso l’ONU, nulla pareva più in grado di mettere in discussione la “trazione Franco – Tedesca” dell’Unione, ma la reazione balbettante all’affronto che alcuni Stati Membri della NATO hanno contribuito aa apportare alla capacità produttiva ed alla competitività tedesca con l’attacco al NorthStream2 e la evidente e sospetta prudenza dell’Amministrazione Biden ad intaccare i profitti di “BURISMA HOLDING”, seguite poi dalla rielezione di D.J. Trump a Washington hanno cambiato tutto.
Ora Londra con la “UK – UKRAINE 100 Year Partnership Declaration” chiarisce al Mondo il suo peso in quella vicenda e ne reclama i dividendi e Washington condiziona il suo supporto a Kiev con la pretesa di integrarne le risorse minerarie nei propri Interessi Strategici. Mentre a Parigi non resta che far pesare il proprio essere Potenza Nucleare ed inseguire quel sogno di Esercito Europeo già bocciato con Draghi nel 2021, pur nell’allora imminenza della firma di quel Patto del Quirinale tra Mattarella e Macron, sui cui contorni crescono i dubbi.
Se l’Unione Europea si avvita sulle ambizioni francesi e le logiche emergenziali la partita sarà perduta. E nel frattempo, ogni giorno che passa, è sempre più periferia. Il “colpo d’ala” che tutti inseguono comincia con un indifferibile passo indietro di Ursula Gertrud Albrecht, coniugata von der Leyen ed auspicabilmente un italiano al vertice della Commissione Europea. Per cambiare marcia. In fretta.