Polonia. E corsa agli armamenti: un esercito da mezzo milione contro l’ombra russa

di Giuseppe Gagliano

La Polonia non si ferma. Mentre il mondo osserva con apprensione il conflitto in Ucraina e le sue ricadute sull’equilibrio europeo, Varsavia sembra aver deciso che il tempo delle mezze misure è finito. Il primo ministro Donald Tusk ha annunciato un piano ambizioso: portare l’esercito polacco a 500 mila uomini, tra professionisti e riservisti, rendendolo il più grande d’Europa. Non solo: entro il 2027, il paese intende addestrare 100 mila volontari all’anno, un segnale chiaro di una nazione che si prepara a ogni evenienza. Ma dietro questa escalation militare si nasconde una domanda inevitabile: la Polonia si sta armando per deterrenza o per un conflitto che ritiene inevitabile?
Per capire la mossa polacca bisogna guardare alla geografia e alla storia. Schiacciata tra la Russia a est, con il suo exclave di Kaliningrad a nord, e la Bielorussia, alleata di Mosca, la Polonia vive da secoli l’ansia di essere un confine conteso. L’invasione russa dell’Ucraina nel 2022 ha trasformato questa ansia in un’urgenza concreta. Varsavia, che già spende il 4,7% del suo PIL in difesa – la quota più alta tra i membri NATO – non intende lasciare nulla al caso. Il ricordo dei secoli di dominazione straniera, dalle spartizioni del XVIII secolo all’occupazione sovietica post-1945, è ancora vivo. E oggi, con un’Ucraina martoriata che funge da cuscinetto sempre più fragile, la Polonia si sente in prima linea.
Tusk lo ha detto senza giri di parole: “Non abbiamo una zona cuscinetto tra noi e Mosca”. Una frase che riassume il senso di vulnerabilità di un paese che, pur parte della NATO, non si fida del tutto della rapidità o della determinazione degli alleati. Dariusz Lukowski, capo dell’Ufficio per la Sicurezza Nazionale, ha aggiunto un dettaglio inquietante: le scorte di munizioni polacche basterebbero per appena due settimane di guerra. Un’ammissione che, letta insieme al piano di espansione militare, suggerisce una corsa contro il tempo per colmare lacune strutturali.
Il progetto di Tusk non si limita a ingrossare i ranghi dell’esercito professionale, che oggi conta circa 200 mila uomini, né a rafforzare le Forze di Difesa Territoriale. L’idea è costruire una vera “armata di riservisti”, coinvolgendo la popolazione civile in un sistema di addestramento su larga scala. “Ogni uomo in salute dovrebbe essere pronto”, ha dichiarato il premier, evocando scenari che ricordano più la mobilitazione di massa di un tempo di guerra che la tranquillità di un membro dell’Unione Europea.
E non è tutto. Parallelamente, il governo sta distribuendo guide di sopravvivenza ai cittadini, con consigli su come affrontare blackout prolungati o crisi naturali e militari. Un’iniziativa che, unita alla richiesta del presidente Andrzej Duda di ospitare armi nucleari americane sul suolo polacco, dipinge un quadro di mobilitazione totale. La Polonia non vuole solo difendersi: vuole essere pronta a combattere, e a farlo da sola, se necessario.
Qui emerge il paradosso. La Polonia è un pilastro della NATO, ma le sue mosse tradiscono una sfiducia crescente verso l’ombrello atlantico. L’elezione di Donald Trump negli Stati Uniti, con le sue ambiguità sull’impegno americano in Europa, ha amplificato i timori. Se Washington dovesse ridurre la sua presenza, Varsavia sa che la prima linea di difesa sarebbe la sua. Non a caso, Tusk ha chiesto agli alleati NATO di portare la spesa militare al 3% del PIL, un appello che Duda ha rilanciato con forza.
Ma c’è di più. La proposta di accedere a “capacità nucleari” – che si tratti di ospitare testate USA o di esplorare opzioni con la Francia – segna un salto di qualità. È un messaggio a Mosca: la Polonia non intende essere solo una pedina, ma un attore con un proprio deterrente strategico. Resta da vedere se questa audacia sarà accolta dagli alleati o se, al contrario, finirà per irritare Mosca senza garantire reali garanzie.
La Polonia di oggi è un paese che corre. Corre per armarsi, per addestrarsi, per prepararsi. Ma verso cosa? La retorica ufficiale parla di “sicurezza, non guerra”, come ha sottolineato Tusk. Eppure, l’entità di questi preparativi, un esercito più che raddoppiato, investimenti miliardari in armamenti, fortificazioni al confine con la Russia, suggerisce un calcolo più cupo.
Il conflitto in Ucraina ha dato a Varsavia un tempo prezioso, come ha ammesso Lukowski, ma nessuno sa per quanto durerà. Se la pace dovesse fallire, o se la Russia decidesse di testare la determinazione della NATO sul suo fianco orientale, la Polonia vuole essere pronta. Non è solo una questione di numeri: è una questione di mentalità. Varsavia sta tornando a pensarsi come una fortezza, un baluardo d’Europa. Resta da capire se questo basterà a tenere lontano lo spettro di un nuovo conflitto o se, al contrario, finirà per attirarlo.