di Giuseppe Gagliano –
Negli ultimi mesi la città di Jenin e il suo campo profughi, cuore pulsante della resistenza palestinese in Cisgiordania, sono stati al centro di un’offensiva senza precedenti da parte dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP). In un’operazione congiunta con le forze israeliane, l’ANP ha intensificato le sue azioni repressive per soffocare ogni forma di opposizione armata, trasformando un simbolo di resistenza in un teatro di brutali violenze.
Il campo profughi di Jenin, abitato da oltre 15mila persone, è stato posto sotto un assedio durissimo. Le forze dell’ANP hanno interrotto le forniture di acqua ed elettricità, vietando l’ingresso di beni essenziali e installando cecchini sui tetti per colpire chiunque tenti di muoversi all’interno dell’area. A questi metodi si aggiungono posti di blocco che paralizzano i movimenti, non solo dei combattenti della resistenza ma anche dei civili intrappolati nel campo.
Testimonianze raccolte dalla Mezzaluna Rossa palestinese rivelano episodi di estrema violenza. Squadre mediche, impegnate a portare aiuti essenziali alle famiglie del campo, sono state arrestate, picchiate e interrogate per giorni. Video diffusi sui social palestinesi mostrano scene scioccanti: uomini costretti a subire umiliazioni fisiche e psicologiche, tra cui pestaggi e torture, mentre vengono obbligati a lodare il presidente Mahmoud Abbas come una figura divina.
Le azioni dell’ANP non sono nuove, ma l’assedio di Jenin rappresenta un punto di rottura. L’esistenza stessa dell’ANP si basa sulla cooperazione con Israele, che la considera uno strumento per mantenere l’ordine nelle aree palestinesi senza dover ricorrere a un controllo diretto. Questo coordinamento, noto e contestato da anni, è arrivato al suo apice con le operazioni nel nord della Cisgiordania, che riflettono metodi di repressione indistinguibili da quelli di Tel Aviv.
L’ANP spera che dimostrare la propria capacità di controllare la resistenza possa garantirle un ruolo futuro nella Striscia di Gaza. L’amministrazione statunitense di Joe Biden ha espresso il suo sostegno a questa possibilità, ma il governo israeliano di Benjamin Netanyahu è restio a un simile scenario, dichiarandosi contrario a qualsiasi forma di autonomia palestinese reale.
Parallelamente all’assedio l’ANP ha deciso di sospendere tutte le attività di al-Jazeera nella Cisgiordania occupata, accusandola di aver documentato e diffuso informazioni sul campo di Jenin. Questo provvedimento, che segue il bando imposto da Israele nel 2014, sottolinea ulteriormente il tentativo di silenziare qualsiasi voce critica che possa mettere in discussione le sue operazioni.
Le azioni dell’ANP a Jenin dimostrano la profonda crisi che attraversa la leadership palestinese. Incapace di contrastare le politiche israeliane e priva di una visione politica coerente, l’ANP appare sempre più distante dal popolo che dovrebbe rappresentare. Le violenze commesse contro i civili palestinesi alimentano una rabbia crescente, mentre il sangue versato a Jenin rischia di trasformarsi in un’ulteriore ferita insanabile nella storia della lotta per la liberazione.
L’operazione su Jenin, concepita per dimostrare efficienza e controllo, potrebbe invece segnare l’ennesimo passo verso il crollo definitivo della legittimità dell’ANP, aprendo uno scenario incerto e potenzialmente devastante per la causa palestinese. In un momento in cui Gaza è soffocata da bombardamenti e assedi, il tradimento interno rischia di essere la ferita più dolorosa e difficile da rimarginare.