La sfida ai cambiamenti climatici: criticità e prospettive di una governance globale

di Giuseppe Lai –

I primi segnali di preoccupazione per i cambiamenti climatici sono emersi tra gli anni ’60 e ‘70 del secolo scorso, quando la comunità scientifica e politica ha iniziato a interrogarsi sulle interazioni tra clima e attività umane. Già nel 1972, in occasione del Summit della Terra di Stoccolma, si sottolineava la necessità di valutare con maggiore attenzione l’incidenza del fattore antropico nell’equilibrio climatico del pianeta, nonostante non si parlasse ancora di ondate di siccità, inondazioni ed eventi estremi. Solo a partire dagli anni ’80, con lo sviluppo dei modelli matematici in grado di elaborare scenari sull’evoluzione degli eventi climatici e sul loro impatto sociale ed economico, il dibattito scientifico si estese all’ambito politico-istituzionale. Nel 1988 nacque l’IPCC, il “Gruppo Intergovernativo di Esperti sul cambiamento climatico” che aveva il compito di fornire ai governi di tutto il mondo lo stato delle conoscenze sui cambiamenti del clima e di effettuare previsioni aggiornate sui loro potenziali effetti ambientali e socioeconomici.
L’IPCC pubblicò il suo primo Rapporto nel 1990, in occasione della 2° Conferenza Mondiale sul clima, dopo il primo Summit tenutosi a Ginevra nel 1979. Il Report sottolineava la sfida globale del climate change e forniva il supporto scientifico ai governi per il successivo accordo, che si sarebbe concluso due anni dopo a Rio de Janeiro con l’approvazione dei 154 paesi partecipanti. Nella Conferenza di Rio venne sancito il principio delle “responsabilità comuni ma differenziate”. Il suo presupposto era il seguente: in un contesto mondiale che necessitava di un’azione comune contro il riscaldamento globale, le responsabilità di fronte alla crisi climatica differiscono da paese a paese. I Paesi più industrializzati hanno il dovere prioritario di perseguire la riduzione delle emissioni inquinanti, dato l’impatto delle loro società sull’ambiente e devono impegnarsi nel sostegno agli Stati più vulnerabili per il raggiungimento degli obbiettivi prefissati. Nel Summit di Rio fu inoltre deliberato che gli Stati firmatari si riunissero annualmente in una Conferenza delle Parti (COP) al fine di negoziare protocolli e accordi vincolanti. Da un’analisi storica delle COP che si sono susseguite nell’ultimo trentennio, dalla prima Conferenza di Berlino del 1995 alla più recente COP 29 di Baku dello scorso anno, emergono luci e ombre sulla traduzione dei principi condivisi in azioni concrete.
Le COP hanno svolto finora un ruolo fondamentale sul piano delle relazioni e della cooperazione tra i Paesi, contribuendo a definire un quadro normativo internazionale, a promuovere la ricerca scientifica, a mobilitare risorse finanziarie e a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla gravità della crisi climatica. Tali interventi, tuttavia, costituivano essenzialmente i presupposti per dare effettiva attuazione alle deliberazioni contro l’emergenza climatica via via approvate. Gli Accordi di Parigi del 2015 ne sono testimonianza. Essi hanno rappresentato la prima intesa universale e giuridicamente vincolante sui cambiamenti climatici. L’obbiettivo concordato dai 197 Stati Membri era quello di contenere l’aumento della temperatura globale al di sotto dei 2°C rispetto all’epoca preindustriale e di limitare tale incremento a 1,5°C. A distanza di circa 10 anni, un recente Report dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale, pubblicato in occasione della COP 29 di Baku, evidenzia un forte disallineamento tra le ambizioni dell’Accordo di Parigi e i dati scientifici attualmente disponibili. Secondo il Rapporto, ognuno degli ultimi 10 anni (2015-2024) è stato tra i più caldi mai registrati e nel periodo gennaio-settembre 2024 la temperatura media globale ha raggiunto la soglia di 1,54°C al di sopra del livello preindustriale.
Nello stesso decennio le emissioni di gas serra hanno registrato un tasso di incremento medio dello 0,7% annuo. Dati in controtendenza rispetto agli impegni sulle emissioni sottoscritti come “vincolanti” in sede di Accordo, che sottolineano la difficoltà di costruire una governance globale sul clima. Emerge in tutta evidenza che l’attuazione degli accordi richiede un livello di compromesso tra interessi nazionali che è ben lungi dall’essere raggiunto. L’attuale quadro geopolitico è strutturato in un multilateralismo che coinvolge Paesi con storia, realtà socioeconomiche e dinamiche di sviluppo differenti. Da un lato le economie avanzate, alle prese con le difficoltà legate alla conversione green dei propri apparati industriali, dall’altro i Paesi in via di sviluppo, alla ricerca costante di quel benessere da tempo consolidato in Occidente. Questa asimmetria è la causa primaria delle controversie tra paesi ricchi e poveri sui vari fattori in gioco: le responsabilità e i costi della crisi climatica, i percorsi dello sviluppo sostenibile, l’urgenza e l’equità delle azioni da intraprendere, come emerso nella recente COP 29 di Baku. A questo clima di conflittualità si aggiunge il fatto che i singoli Paesi aderiscono volontariamente agli accordi, determinando autonomamente il proprio contributo alla causa globale.
Nessun meccanismo, tuttavia, garantisce che gli impegni assunti dai vari Stati siano idonei al raggiungimento degli obbiettivi sanciti in sede di Accordo. Al contrario, questi contributi nazionali, da un’attenta analisi, sono insufficienti per mantenere il riscaldamento globale entro i limiti prefissati. Un’ulteriore criticità deriva dal principio delle “responsabilità comuni ma differenziate” stabilito nella Conferenza di Rio. Questa norma è stata utile per raggiungere un primo livello di condivisione tra i Paesi ma data la sua genericità non si è tradotta in decisioni operative sulla suddivisione dei compiti e dei costi. In ultima analisi, la complessità delle problematiche rende incerta una prospettiva futura di governance globale sul clima. Il dibattito in corso dovrebbe aprirsi a strumenti normativi allargati, come un organo sovranazionale in grado di imporre regole ai singoli Stati e di garantirne il rispetto.