di Raffaele Romano * –
Storicamente abbandonare uno Stato è già successo più volte e, per restare in Europa, clamoroso fu l’abbandono della Polonia. Non tutti ricordano che la Seconda guerra mondiale fu dichiarata da Gran Bretagna e Francia nel settembre del 1939, allorché Hitler ad occidente e Stalin ad oriente invasero la Polonia. Il governo della Polonia in esilio che diresse le Forze armate polacche in occidente e le forze partigiane lo fece per anni da Londra. Al termine del conflitto non fu riconosciuto e rimase senza poteri effettivi, ma fu attivo fino alla fine della Repubblica Popolare di Polonia nel 1990, quando trasferì formalmente le responsabilità al nuovo governo.
Nell’aprile 1943 i tedeschi annunciarono la scoperta nella foresta di Katyn delle fosse comuni di 14.300 ufficiali polacchi che erano stati fatti prigionieri nel 1939 e assassinati dai sovietici. Alla Conferenza di Teheran Churchill e Roosevelt accettarono di cedere all’URSS la Polonia, questa rottura ebbe conseguenze sulla sorte della nazione che per diversi decenni rimase sotto il tallone sovietico. Il voltafaccia fu crudele e bruciante, ma USA e Regno Unito vennero meno ad un patto storico abbandonando definitivamente il popolo polacco. Quindi oggi Trump compie qualcosa di simile anche se non uguale.
Il perché lo faccia, al di là del modo, è molto verosimilmente teso a tentare di riequilibrare la geopolitica mondiale nell’esclusivo interesse degli Stati Uniti. Un simile precedente risale al secolo scorso per opera di Richard Nixon che, in chiave di contenimento antisovietico, decise di aprire alla Cina per sottrarla all’allora strapotenza sovietica. Nell’estate del 1969 Washington decise di eliminarle alcune restrizioni commerciali. Successivamente, nel 1971, la squadra statunitense di tennistavolo fu invitata a partecipare ad un torneo in Cina, dando inizio alla cosiddetta diplomazia del ping pong. Ma la vera iniziativa si concretizzò con la visita di Nixon preparata grazie agli incontri segreti di Henry Kissinger effettuati tra il 9 e l’11 luglio del 1971.
Il viaggio di Nixon ebbe luogo tra il 21 febbraio e il 28 febbraio 1972, visitando le città di Pechino, Hangzhou e Shanghai. A quel punto gli americani abbandonarono la “teoria delle due Cine”, riconoscendo l’indivisibilità del Paese e impegnandosi a ritirare tutte le forze militari di stanza sull’isola di Taiwan. In cambio la Cina riconobbe la supremazia statunitense nel Pacifico. Nel documento infatti dichiararono “di volersi opporre a qualsiasi tentativo perpetrato da una terza potenza per affermare la propria supremazia nell’area”. Di fatto rappresentava un avvertimento ed un duro alto là all’Unione Sovietica. Ed è qui, molto probabilmente, il nocciolo del problema. Gli USA hanno l’esigenza di controllare il Pacifico e contrastare commercialmente e militarmente Pechino. Per farlo non possono dare ancora piena attuazione a quell’accordo e per poterlo impugnare Trump ha bisogno di togliere dal fuoco la guerra in Ucraina facendo concessioni a Mosca per poi dedicarsi al vero problema: la Cina. La spregiudicatezza non difetta agli americani e a tutti quei Paesi che l’adottano. Gli USA hanno nel proprio DNA un concetto fondante vergato da George Washington alla fine del XVIII secolo in cui, “pur riconoscendo la grande importanza delle alleanze raccomandava, fermamente, di non legarsi per sempre ad interessi che non coincidessero con quelli americani”.
In mezzo al guado, per ora, è rimasta l’UE che con le sue bradipe lentezze cerca di muoversi coi soliti problemi interni ma, soprattutto, abituata ad avere un ombrello di difesa gestito e speso dagli USA mentre ora deve iniziare a giocare in proprio.
In tutto questo bailamme “brilla” per inconsistenza, doppiezza ed inesperienza l’Italia che non ha ancora preso una posizione netta e chiara, storicamente e diplomaticamente nota alle Cancellerie del mondo al di là di quale essa sarà. Per cui assistiamo a comportamenti seri a Londra dove il primo ministro socialista britannico Keir Starmer viene supportato ed affiancato dalla leader dell’opposizione conservatrice Kemi Badenoch e lo stesso avviene in Francia con Macron. Da noi, invece, si assiste ad uno spettacolo indecoroso sia nella maggioranza che nelle opposizioni seguaci di siti social all’inseguimento di qualche “like” in più mentre sul proscenio mondiale c’è una sfida: “la costruzione di una nuova sicurezza europea”. La dimostrazione del fortissimo pericolo, se ce ne fosse bisogno, che corriamo è dato dal fatto che i tedeschi, titolari indiscussi di non sforare i parametri di bilancio, subito hanno derogato da questo vincolo per loro biblico.
Evitiamo quindi di fare i tifosi e giocare a chi urla di più la realpolitik è cosa seria per Stati seri che, nel frattempo, per realizzare i loro obiettivi fanno tutto ciò che gli serve. Notizia di ieri dagli USA è che la CIA sta tenendo contatti con i banditi di Hamas per mettere mano alla crisi del Medio Oriente.
* Articolo in mediapartnership con Nuovo Giornale Nazionale.