Kazakistan. Abolita la pena di morte

di C. Alessandro Mauceri –

Nei giorni scorsi il Kazakhstan è entrato a far parte del gruppo – sempre più numeroso – dei paesi che hanno abolito la pena di morte. La decisione è stata formalizzata nell’aula semi deserta dell’Assemblea Generale delle Nazioni unite a New York.
La moratoria era stata decisa 17 anni fa con un decreto del 17 dicembre 2003 del presidente della Repubblica del Kazakhstan. A firmare il documento definitivo è stato Kairat Umarov, rappresentante del paese presso l’Onu. “É un riflesso delle riforme politiche effettuate in Kazakhstan in materia di protezioni dei diritti dei cittadini, con lo scopo di stabilire un dialogo permanente tra il governo e la società per la costruzione di uno stato armonioso”, ha dichiarato l’ambasciatore kazako alle Nazioni Unite in un comunicato ufficiale, aggiungendo “L’abolizione della pena di morte è una delle questioni più discusse al mondo. L’Assemblea generale e il Consiglio dei diritti umani dell’Onu nelle loro risoluzioni invitano frequentemente gli stati membri a intraprendere azioni efficaci per abolire la pena di morte”.
Un appello ascoltato da molti ma non da tutti. Ancora oggi, la pena capitale è considerata legittima in 56 paesi (anche se quelli dove realmente vengono eseguite condanne a morte sono meno). Dei paesi che hanno eliminato la pena capitale (142), sette di questi l’hanno vietata salvo per reati eccezionali (in tempo di guerra, ad esempio) e trenta sono abolizionisti de facto dal momento che pur essendo ancora vigente non sono state eseguite condanne a morte da almeno dieci anni.
La pena capitale è ancora molto comune negli Usa dove, solo pochi giorni fa, in piena corsa per le presidenziali, è stata applicata per mezzo di iniezione letale per Christopher Vialva condannato per essere tra gli esecutori di un duplice omicidio avvenuto nel 1999, quando aveva solo 19 anni. Molti hanno visto questa decisione come un gesto politico visto che Vialva è afroamericano e che la corsa alle elezioni presidenziali è ormai in vista del traguardo.
Nonostante l’ostinazione di Washington e del Giappone (tra i paesi occidentali) nel voler fare ricorso alla pena di morte, nel 2019, le esecuzioni capitali sono diminuite. Lo scorso anno ci sono state 657 esecuzioni (quasi due al giorno), un numero altissimo ma minore rispetto a quello degli anni precedenti (690 nel 2018 e 993 nel 2017). E questo senza considerare la Cina, dove si crede che siano moltissime le sentenze eseguite ma sulle quali, finora, nessuno è mai riuscito a trovare dati ufficiali.
“La posizione nazionale sulla pena di morte – si legge nel comunicato dell’ambasciatore del Kazakhstan – è un criterio importante per valutare l’adempimento da parte degli stati dei loro obblighi in materia di diritti umani ai sensi della revisione periodica universale delle Nazioni Unite. La decisione del presidente Tokayev di firmare il secondo protocollo opzionale è stata presa nel quadro delle riforme politiche in corso nel paese volte a proteggere i diritti dei cittadini”.
Il ricorso alla pena di morte contrasta pesantemente con la Dichiarazione dei Diritti Umani: approvato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948 a Parigi con la risoluzione 219077A, è considerato uno dei documenti più importanti. Nel 1948, nessuno degli stati presenti votò contro la mozione (ma si registrarono 8 astensioni e due paesi si assentarono dall’aula al momento della votazione). Ciò nonostante, in diversi paesi firmatari la pena di morte era e continua ad essere considerato uno strumento legittimo. Una pena che Albert Camus, scrittore, filosofo e giornalista francese, ha definito “il più premeditato degli assassinii”.
Dopo la decisione del Kazakhstan di abolire la pena di morte, tra i paesi eurasiatici questa pratica rimane attiva solo in Bielorussia (dove peraltro avviene per fucilazione).