di Giuseppe Gagliano –
Bernard Squarcini, ex numero uno dei servizi segreti interni francesi (DCRI, poi DGSI) dal 2008 al 2012, è stato condannato ieri dal tribunale correzionale di Parigi a quattro anni di carcere, di cui due da scontare agli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico e due sospesi. A questa pena si aggiungono una multa di 200mila euro e un’interdizione di cinque anni dall’esercitare attività legate all’intelligence, alla consulenza o al settore della sicurezza. Soprannominato “le Squale” (lo squalo), Squarcini è stato riconosciuto colpevole di traffico di influenze, abuso di potere, violazione del segreto professionale e falso in scrittura pubblica. Reati commessi, secondo l’accusa, per favorire il colosso del lusso LVMH, guidato dal magnate Bernard Arnault.
La vicenda, emersa al termine di un processo iniziato a novembre 2024, ruota attorno alle attività di Squarcini dopo il suo addio ai servizi segreti. Fondata la società di consulenza Kyrnos nel 2012, l’ex spia avrebbe messo a frutto i suoi contatti istituzionali per fornire a LVMH informazioni riservate, incassando oltre 2 milioni di euro tra il 2013 e il 2016. Tra i casi più eclatanti c’è lo spionaggio ai danni di François Ruffin, allora giornalista e regista del documentario Merci Patron!, critico verso Arnault. Squarcini avrebbe orchestrato intercettazioni e infiltrazioni nella redazione del giornale Fakir, fondato da Ruffin, per ostacolarne le iniziative, come la partecipazione alle assemblee generali di LVMH. Oggi deputato, Ruffin ha salutato la sentenza come una vittoria simbolica, pur criticando l’assenza di conseguenze penali dirette per Arnault.
Ma non è tutto. Durante e dopo il suo mandato alla DCRI, Squarcini avrebbe abusato della sua posizione per ottenere dati sensibili su indagini delicate, come quella sul riciclaggio di Jérôme Cahuzac o sull’omicidio dell’avvocato corso Antoine Sollacaro. Nel 2008, ad esempio, avrebbe mobilitato agenti dei servizi per identificare un individuo che tentava di ricattare Arnault, giustificando l’operazione come una tutela del “patrimonio economico francese”. Un’argomentazione che non ha convinto i giudici. Tra i favori emersi anche l’uso dei suoi contatti per accelerare pratiche amministrative, come l’ottenimento di passaporti e visti per privati, inclusi clienti di LVMH.
In aula Squarcini non era solo: con lui sono stati processati nove coimputati, tra ex poliziotti e funzionari. Sette hanno ricevuto condanne più lievi, da sei mesi con la condizionale a tre anni, di cui due sospesi, mentre due sono stati assolti. Il pubblico ministero, che aveva chiesto quattro anni con la condizionale e 300mila euro di multa, ha definito i reati “estremamente gravi” per un alto funzionario. Il tribunale, però, ha optato per una linea più dura. La difesa, guidata dagli avvocati Marie-Alix Canu-Bernard e Patrick Maisonneuve, ha annunciato appello, denunciando un’indagine viziata da “parzialità” e priva di “contraddittorio”. Gli avvocati sostengono che Squarcini abbia sempre agito nell’interesse nazionale e che le sue attività private fossero lecite.
La condanna ha acceso i riflettori sui rapporti opachi tra potere pubblico e interessi privati in Francia. Ruffin ha puntato il dito contro la “collusione tra la prima fortuna del Paese e il primo poliziotto”, accusandoli di aver soffocato la libertà di stampa. Bernard Arnault, chiamato a testimoniare, ha respinto ogni responsabilità diretta, scaricando la colpa su Pierre Godé, ex numero due di LVMH, scomparso nel 2018. Il gruppo dal canto suo aveva evitato un processo penale nel 2021 grazie a un patteggiamento da 10 milioni di euro, una soluzione contestata da molti.
Questa sentenza, pronunciata il 7 marzo 2025, segna un punto di svolta, ma l’appello potrebbe ribaltarne gli esiti. Resta il monito: l’uso improprio delle risorse dello Stato e i legami tra élite pubbliche e private sono sotto scrutinio, in un caso che continua a far discutere.