di Giuseppe Gagliano –
Il dispiegamento della più grande flotta navale cinese nelle acque del Pacifico Occidentale degli ultimi trent’anni rappresenta un’escalation significativa nelle tensioni tra Pechino e Taipei, oltre a costituire un messaggio strategico diretto agli Stati Uniti e ai loro alleati regionali. Secondo il Ministero della Difesa di Taiwan, circa 90 navi della marina e della Guardia Costiera cinesi sono operative nella regione, con una configurazione che suggerisce non solo esercitazioni militari, ma una dimostrazione di forza a lungo termine.
Il posizionamento di una flotta di tale portata riflette l’ambizione di Pechino di consolidare il controllo sulla prima catena di isole, un’area che include Giappone, Taiwan, Filippine e Borneo. Questo obiettivo strategico mira a limitare l’interferenza delle forze straniere – in primis statunitensi – e a rafforzare la posizione cinese nello Stretto di Taiwan, considerato una “linea rossa” dal Partito Comunista Cinese.
La strategia di Pechino sembra ruotare attorno alla costruzione di due “muri” navali: uno lungo il confine orientale della zona di identificazione della difesa aerea di Taiwan e un altro più a Est nel Pacifico. Questi schieramenti sono progettati per trasformare lo Stretto di Taiwan in un “mare interno” cinese, una visione che, se realizzata, ridefinirebbe gli equilibri di potere nella regione e renderebbe più difficile l’accesso di forze straniere.
Taipei ha risposto a questa escalation intensificando il monitoraggio delle attività cinesi e rafforzando la propria capacità di difesa. Il Ministero della Difesa ha denunciato un aumento senza precedenti delle operazioni navali e aeree cinesi, sottolineando come alcuni aerei abbiano simulato attacchi contro navi militari straniere e condotto esercitazioni di blocco. Tali manovre rappresentano un chiaro segnale della volontà cinese di dimostrare la capacità di isolare l’isola in caso di conflitto.
L’attuale amministrazione taiwanese, guidata dal presidente Lai Ching-te, sta cercando di rafforzare i legami con gli Stati Uniti e altri alleati, consapevole che la difesa dell’isola dipenderà non solo dalle sue forze armate, ma anche dal supporto internazionale. Tuttavia, le visite di Lai a Guam e Hawaii hanno ulteriormente irritato Pechino, che le considera provocazioni dirette.
Per Washington, il crescente attivismo cinese nello Stretto di Taiwan rappresenta una sfida strategica di primaria importanza. Gli Stati Uniti hanno a lungo mantenuto una politica di “ambiguità strategica” nei confronti di Taiwan, ma l’aumento delle attività militari cinesi potrebbe spingere verso un maggiore impegno diretto nella regione.
La presenza della flotta cinese e le esercitazioni di blocco simulano uno scenario di crisi che mette alla prova le capacità di risposta degli Stati Uniti e dei loro alleati. L’obiettivo di Pechino potrebbe essere duplice: testare la prontezza delle forze occidentali e inviare un segnale di determinazione riguardo alla questione di Taiwan.
Il dispiegamento della flotta cinese non è solo una dimostrazione di forza, ma un segnale di un cambiamento più ampio nella postura strategica di Pechino. La Cina sembra prepararsi a una fase di confronto prolungato, in cui la pressione militare sarà utilizzata come strumento per costringere Taiwan a negoziare alle condizioni di Pechino. Al tempo stesso, questa strategia potrebbe spingere Taipei e i suoi alleati a intensificare la cooperazione militare e politica, aumentando il rischio di un’escalation.
La trasformazione dello Stretto di Taiwan in un “mare interno” cinese avrebbe conseguenze drammatiche per la libertà di navigazione e per gli equilibri di potere nell’Indo-Pacifico. Un controllo cinese incontrastato di quest’area indebolirebbe significativamente la posizione degli Stati Uniti nella regione, con ripercussioni su scala globale.
La mobilitazione navale cinese rappresenta un punto di svolta nelle relazioni tra Pechino, Taipei e Washington. Mentre la Cina continua a espandere le sue capacità militari e a rafforzare la propria posizione strategica, Taiwan e i suoi alleati si trovano di fronte a scelte difficili: aumentare il proprio impegno nella difesa dell’isola, con il rischio di provocare una reazione cinese, o cercare di contenere le tensioni attraverso la diplomazia, una strada resa sempre più complessa dalla determinazione di Pechino.
Il futuro dello Stretto di Taiwan sarà probabilmente deciso da una combinazione di fattori: la capacità delle forze taiwanesi di resistere alla pressione, il livello di impegno degli Stati Uniti e dei loro alleati, e la volontà di Pechino di rischiare un conflitto aperto per raggiungere i propri obiettivi. In ogni caso, l’Indo-Pacifico si conferma come il principale teatro delle dinamiche geopolitiche del XXI secolo.