di Giuseppe Gagliano –
La morte presunta di Oscar Jenkins, cittadino australiano catturato dalle forze russe mentre combatteva in Ucraina, getta in una situazione di ulteriore complessità le relazioni tra Russia e Australia. Oscar Jenkins, ex insegnante di Melbourne, aveva scelto di unirsi alle forze ucraine in una guerra che ha attirato volontari da tutto il mondo. La sua presunta morte in custodia russa, accompagnata da segni di torture, rappresenta un potenziale crimine di guerra secondo le Convenzioni di Ginevra, sottolineato anche dalle autorità australiane. Ma al di là del singolo caso, l’episodio riflette una dinamica più ampia: l’internazionalizzazione del conflitto e l’uso della guerra come strumento di proiezione di potere, non solo per la Russia e l’Ucraina, ma anche per gli attori globali che si schierano su questo nuovo scacchiere geopolitico.
Canberra ha reagito con fermezza. Il primo ministro Anthony Albanese ha dichiarato che l’Australia è pronta a prendere “le misure più dure possibili”, inclusa l’espulsione dell’ambasciatore russo. Una mossa che segnala quanto il governo consideri la situazione come una questione non solo umanitaria ma anche di principio politico.
Tuttavia ‘iniziativa di Albanese non sarebbe priva di rischi. Espellere l’ambasciatore russo potrebbe rappresentare un gesto simbolico di protesta, ma difficilmente influirà sulle scelte di Mosca. Al contrario, potrebbe provocare ritorsioni economiche e diplomatiche in un momento in cui l’Australia sta rafforzando il suo ruolo come alleato strategico degli Stati Uniti e uno dei maggiori contributori non-NATO al sostegno occidentale all’Ucraina.
Se confermate, le circostanze della morte di Jenkins metterebbero ulteriormente sotto accusa la gestione russa dei prigionieri di guerra, già oggetto di critiche internazionali. La Russia, firmataria delle Convenzioni di Ginevra, si trova sempre più isolata nel contesto globale, con crescenti accuse di violazioni dei diritti umani. Mosca da parte sua continua a utilizzare le relazioni bilaterali e i negoziati per scambi di prigionieri come strumenti per guadagnare tempo e consolidare il suo controllo sul conflitto in Ucraina.
L’Australia, lontana geograficamente ma profondamente coinvolta politicamente, è uno degli attori più attivi nell’appoggio a Kiev. Le sanzioni economiche, il blocco delle esportazioni di bauxite e alluminio verso la Russia e il supporto militare sottolineano il peso strategico che Canberra attribuisce al conflitto. Tuttavia l’impatto politico di episodi come quello di Jenkins non si limita alla Russia: essi potrebbero catalizzare una revisione delle relazioni diplomatiche in tutta la regione dell’Indo-Pacifico, un’area già segnata dalla competizione tra Stati Uniti, Cina e altri attori regionali.
La guerra in Ucraina non è più una questione regionale. È diventata una partita globale, che coinvolge direttamente o indirettamente attori da ogni angolo del mondo. La morte di Jenkins, se confermata, si inserisce in questo contesto, evidenziando come i conflitti del XXI secolo non siano mai confinati nei territori in cui si combattono.
In questo scenario le azioni dell’Australia rappresentano un test per la tenuta del diritto internazionale e per la capacità delle democrazie occidentali di rispondere a sfide sempre più complesse e interconnesse. L’episodio di Jenkins non è solo una tragedia personale, ma un riflesso delle tensioni globali che definiscono il nostro tempo.