di Giuseppe Gagliano –
L’America Latina si prepara a un importante passaggio istituzionale: le elezioni per il nuovo segretario generale dell’Organizzazione degli Stati Americani (OAS), previste per il 10 marzo, segnano un momento cruciale per i rapporti di forza nel continente. La candidatura del ministro degli Esteri del Suriname, Albert Ramdin, sostenuta da Brasile, Bolivia, Cile, Colombia e Uruguay, rappresenta un chiaro segnale del crescente peso politico dei Caraibi nel quadro regionale.
A sfidarlo è il ministro degli Esteri del Paraguay, Ruben Ramirez Lezcano, espressione delle forze più vicine agli Stati Uniti e alle correnti politiche che mirano a una riorganizzazione dell’OAS in senso più attivista sul piano della difesa della democrazia. Il duello tra i due profili non è solo una questione di personalità e curriculum, ma riflette fratture profonde su come l’America Latina vuole gestire la propria autonomia strategica di fronte alle ingerenze esterne, in particolare di Washington e Pechino.
La decisione di Brasile, Bolivia, Cile, Colombia e Uruguay di appoggiare la candidatura di Ramdin non è casuale. Si tratta di Paesi che, pur con governi eterogenei, hanno scelto un percorso di autonomia dai blocchi tradizionali e che vedono con favore un’Organizzazione degli Stati Americani meno legata agli interessi statunitensi. La presidenza Lula in Brasile e quella di Gustavo Petro in Colombia hanno insistito sulla necessità di un approccio multilaterale più inclusivo, lontano dalle rigidità imposte dalle amministrazioni di Washington, soprattutto in materia di relazioni con Venezuela, Cuba e Nicaragua.
Il Suriname, piccolo ma strategico Paese del Sud America, potrebbe dunque diventare un perno diplomatico nella ristrutturazione dei rapporti intra-latinoamericani. La candidatura di Ramdin è letta come un tentativo di portare nell’organizzazione una visione più pragmatica e diplomatica, che preferisce il dialogo alle sanzioni e all’isolamento. In quest’ottica, Caracas e L’Avana osservano con attenzione la competizione, consapevoli che una vittoria di Ramdin potrebbe significare un’OAS meno ostile ai regimi di Maduro e Díaz-Canel.
Dall’altra parte la candidatura di Ramirez Lezcano rappresenta un fronte più conservatore e allineato alle tradizionali posizioni statunitensi in America Latina. Il Paraguay, storicamente vicino a Washington, punta su una OAS più interventista nella difesa della democrazia, con un approccio più rigido nei confronti delle autocrazie latinoamericane.
Ramirez Lezcano ha sottolineato la necessità di riportare Venezuela, Cuba e Nicaragua dentro un percorso democratico più trasparente e di rafforzare le istituzioni multilaterali come strumenti di pressione politica. Se venisse eletto, è probabile che l’OAS torni a essere un attore più attivo nella denuncia delle violazioni dei diritti umani e nella promozione di interventi regionali di stabilizzazione, in netto contrasto con l’approccio più diplomatico proposto da Ramdin.
La corsa per la segreteria generale dell’OAS non è solo una questione istituzionale: dietro i due candidati si scontrano visioni opposte sul futuro del continente. Da un lato, un’America Latina che vuole emanciparsi dalle dinamiche storiche di dipendenza dagli Stati Uniti, aprendosi a nuove relazioni con potenze emergenti come la Cina e consolidando l’autonomia regionale. Dall’altro, una parte del continente che guarda ancora a Washington come garante di stabilità e di contrasto ai regimi autoritari.
Brasilia, Bogotá e Buenos Aires osservano con attenzione l’esito del voto. Una vittoria di Ramdin potrebbe significare un’ulteriore spinta verso un’America Latina più multilaterale e meno subordinata agli equilibri tradizionali, con una maggiore capacità di dialogo tra le diverse anime del continente. Una vittoria di Ramirez Lezcano, invece, segnerebbe un rafforzamento dell’asse tra l’OAS e gli Stati Uniti, con una politica estera più vicina alle posizioni del Dipartimento di Stato americano.
In ogni caso l’elezione del prossimo segretario generale dell’OAS non sarà un semplice avvicendamento burocratico, ma un tassello fondamentale nella ridefinizione delle relazioni politiche dell’America Latina per il prossimo decennio.