Abkhazia. Il braccio (energetico) teso della Russia e la crisi senza fine

di Giuseppe Gagliano

La Russia ha iniziato le forniture di energia elettrica all’Abkhazia, proclamandole “umanitarie”, in risposta a una crisi energetica che stava portando la regione separatista dalla Georgia sull’orlo del collasso. Ufficialmente si tratta di un gesto fraterno verso un alleato storico; nella realtà è un episodio emblematico di un rapporto di dipendenza strategica che tiene Sukhumi stretta a Mosca, in un limbo politico e sociale dove ogni autonomia è pura illusione.
L’Abkhazia, tecnicamente parte della Georgia ma riconosciuta indipendente solo dalla Russia e da una manciata di stati satelliti, è abituata a convivere con difficoltà strutturali croniche. Tuttavia la crisi energetica di dicembre si è trasformata in un banco di prova politico. La centrale idroelettrica di Enguri, fonte primaria di energia per la regione, ha dovuto chiudere per livelli d’acqua troppo bassi, riducendo l’elettricità a poche ore al giorno.
La reazione di Mosca, dopo settimane di silenzio, è arrivata soltanto dopo l’appello disperato del presidente ad interim Badra Gunba, che ha evocato lo spettro di una “catastrofe umanitaria”. L’intervento del Cremlino, tardivo e calcolato, si è configurato più come una prova di forza che come una reale manifestazione di solidarietà.
È evidente che Mosca usa l’energia come strumento di controllo. Le tensioni tra Sukhumi e il Cremlino si erano aggravate già a novembre, quando l’Abkhazia aveva rigettato un accordo di investimento russo che avrebbe potuto trasformare il paese in un mercato immobiliare per oligarchi. La decisione aveva scatenato proteste popolari, culminate con le dimissioni del presidente Aslan Bzhania e l’interruzione dei fondi russi destinati al welfare e all’infrastruttura energetica.
La Russia, che continua a mantenere basi militari sul territorio, non tollera deviazioni dai propri interessi. Le forniture energetiche “umanitarie” appaiono quindi come una concessione temporanea, un promemoria per l’Abkhazia: l’indipendenza si paga cara, soprattutto quando dipende da chi la finanzia.
Intanto la situazione politica interna abkhaza rimane esplosiva. Il recente omicidio di un deputato durante una discussione sul divieto di mining di criptovalute, una pratica che consuma enormi quantità di energia in un contesto di penuria, rivela la fragilità delle istituzioni. L’Abkhazia è ostaggio di un sistema politico frammentato, incapace di rispondere alle necessità della popolazione e costantemente in bilico tra le pressioni russe e i bisogni locali.
Il caso dell’Abkhazia non è isolato, ma rappresenta un microcosmo delle strategie di controllo di Mosca nelle sue periferie. La regione, con la sua dipendenza energetica, i conflitti interni e l’isolamento internazionale, è il perfetto esempio di come la Russia utilizzi crisi create o aggravate ad arte per mantenere il potere su territori chiave.
La domanda rimane: fino a quando l’Abkhazia potrà sopravvivere in queste condizioni? E cosa accadrà quando la pazienza di Mosca, e le sue concessioni, si esauriranno? Per ora la regione resta in bilico, simbolo di una sovranità che è solo di nome e di un futuro sempre più incerto.