La visita ufficiale in Francia del capo dello Stato segna un momento significativo per i nuovi rapporti di cooperazione con la Francia, che dovrebbero approdare all’atteso Trattato del Quirinale. Ma è stata anche l’occasione per tracciare una visione comune su un’idea di Europa che condanna le derive sovraniste e illiberali, mira a perseguire la libertà e la giustizia sociale, e dovrà compiere scelte responsabili e solidali sulle politiche migratorie. Mentre si auspica il consolidamento della leadership europea sull’asse Italia-Germania-Francia, anche in vista del prossimo turno di presidenza francese del Consiglio europeo, crescono dunque le attese per il Trattato del Quirinale.
di Maurizio Delli Santi * –
La rappresentazione dell’Italia.
La visita ufficiale in Francia del presidente della Repubblica Sergio Mattarella segna un altro momento favorevole per la rappresentazione della leadership dell’Italia sugli scenari internazionali. Il Paese appare aver ritrovato autorevolezza alla guida della presidenza del G20, dove in particolare ha saputo riproporre il tema del multilateralismo e tracciare la linea sulle “sfide globali”, salute mondiale, cambiamenti climatici, diseguaglianze. Ma l’Italia sta vivendo una fase positiva anche per un fronte interno che, nonostante diverse questioni critiche, non ultime quelle sulle attese della ripresa e sulla giustizia, sta dimostrando la capacità di resilienza, pure sui mercati, e guarda con maggiore fiducia al futuro, anche grazie al recovery fund efficacemente ricercato e ottenuto dall’Europa.
Il momento topico della visita del capo dello Stato a Parigi è stato certamente il discorso tenuto alla Sorbona, in cui il presidente della Repubblica ha tracciato il percorso storico e ideale dei legami che uniscono l’Italia e la Francia, ma soprattutto ha chiaramente delineato i principi su cui occorrerà sviluppare il programma comune sul futuro europeo, già al centro della Conferenza sul futuro dell’Europa, presentata il 9 maggio 2021, e sulla nuova entente cordiale che dovrebbe approdare finalmente all’atteso Trattato del Quirinale.
I diversi contesti dell’Europa.
La premessa è necessaria: l’imparzialità, la trasversalità e il ruolo di garanzia del presidente sono elementi fondanti del nostro modello costituzionale di Repubblica parlamentare e certamente risulterebbe scorretto calare nell’agone politico dei partiti un discorso del Capo dello Stato. Tuttavia, l’intervento del presidente della Repubblica non può considerarsi neutrale rispetto ai grandi temi della libertà, della democrazia, dei “valori dell’Europa”, per cui il discorso alla Sorbona non può non essere letto nel contesto di ciò che sta accadendo in Europa.
Il riferimento dunque non è esplicito, ma non può sfuggire nei discorsi di Parigi l’accenno all’ attuale aspetto critico dello scenario europeo: la deriva illiberale, di cui la legge sulla omofobia del leader ungherese Orbàn è solo l’ultima espressione, che va collocata nell’approccio nazionalista e autocratico di diversi governi europei. In particolare preoccupa il deterioramento delle libertà individuali, tra cui la libertà di stampa, in molti paesi dell’Est europeo e dei Balcani, come Bulgaria, Romania, Polonia, ma anche la Serbia candidata all’ingresso, e la Slovenia. Peraltro quest’ ultima ha assunto il turno della presidenza del Consiglio Ue presentandosi con un discusso leader autocrate, e come unico paese che ancora non ha designato i due procuratori delegati alla EPPO, l’European Public Prosecutor’s Office, la nuova procura europea che per ora si occuperà di lotta alle frodi Ue.
Si tratta di un tema che non è affatto marginale e non può essere accantonato, anche perché è sintomatico di un “modello europeo” che sta emergendo con forza per iniziativa dei movimenti “sovranisti” molto attivi in Europa, espressione comunque di un sentire di larghe fasce delle popolazioni europee, ancorché a prevalere sia probabilmente ancora una “maggioranza silenziosa” di ispirazione liberal-democratica, oppure social-democratica, e, specie in Germania, di impronta ecologista, in ogni caso non contaminata da derive nazionaliste e antidemocratiche. L’ultimo esempio delle manifestazioni dell’idea sovranista è invece l’“Unione dei patrioti europei”, un’alleanza programmatica annunciata da diverse forze politiche europee che sembra preludere alla costituzione di un gruppo unico al parlamento europeo. Il manifesto che ne enuncia la costituzione è molto forte ed esplicito specie in alcuni passaggi, tra cui vanno menzionati questi: “Le nazioni si sentono lentamente spogliate del loro diritto ad esercitare i loro legittimi poteri sovrani (…) Siamo convinti che la cooperazione delle nazioni europee dovrebbe essere basata sulle tradizioni, il rispetto della cultura e della storia degli stati europei, sul rispetto dell’eredità giudaico-cristiana dell’Europa (…) la famiglia è l’unità fondamentale delle nostre nazioni. La politica a favore della famiglia dovrebbe essere la risposta rispetto all’immigrazione di massa”.
In sostanza lo scenario che si va presentando in Europa appare quello suggerito da una riflessione della filosofa Giorgia Serughetti (Domani, 6/7/2021): attraverso i conflitti sui modelli di inclusione/esclusione in Europa, sull’accoglienza, sul concetto di “famiglia” e “sui diritti Lgbt passa oggi una frontiera politica che divide gli stati dal mondo, nonché l’opinione pubblica e la politica al loro interno”, per cui “occorre decidere da che parte stare”.
Il discorso alla Sorbona su libertà e democrazia.
In questa prospettiva la lectio del capo dello Stato merita un’attenta analisi e va letta in tutti i suoi passaggi perché non appare affatto un mero discorso di circostanza. È una sorte di mini-trattato in cui si enunciano principi netti e si marcano le distanze rispetto alle posizioni critiche emerse nel contesto europeo. “Libertà, Eguaglianza, Fraternità recita il motto della Repubblica Francese, a interpretazione di un’aspirazione che avrebbe accomunato i popoli del mondo”, ha premesso il capo dello Stato, entrando subito dopo nel vivo del discorso sui valori dell’Europa. “Il progredire delle buone cause è abitualmente lento, ed è arduo il cammino per far prevalere i principi del diritto nei rapporti internazionali”.
E quindi ha rimarcato che ”Nel contesto attuale si sente talvolta dire che vi sono visioni diverse, talvolta opposte ma che si pretendono parimenti plausibili, di Europa. Al netto della doverosa disponibilità a comprendere i diversi punti di vista e a rendersi conto della fatica di ogni costruzione, questa tesi rischia di mettere in ombra le autentiche finalità dell’esercizio di unità europea che sono, invece, inequivocabili”.
Da qui il monito: “il patrimonio di valori racchiusi nell’ideale europeistico”, che “ha inoltre consentito un ancoraggio sicuro alle democrazie dei Paesi dell’Europa centro-orientale dopo il 1989”, rappresenta “un capitale che non può essere depauperato né compromesso”. Pertanto, ha proseguito, “la dialettica politica tipica di ciascuna comunità organizzata in Stato non può essere motivo o pretesto per indebolire o porre in discussione i caratteri fondanti dell’Unione. Si tratta di elementi inscindibili fra loro: non vi può essere democrazia senza libertà; libertà senza democrazia; libertà e democrazia senza giustizia sociale che consente il perseguimento della prosperità”.
In sostanza nelle parole di Mattarella si può leggere un chiaro aut aut agli autocrati e ai regimi illiberali: o si adoperano per affermare i valori della libertà e della democrazia, o altrimenti vanno fuori dall’Europa.
Sovranità europea e politiche migratorie.
Il discorso del Presidente della Repubblica ha quindi posto l’accento su quella idea di “sovranità europea” tanto cara a Macron che ha lanciato alla presentazione di Strasburgo della Conferenza sul futuro dell’Europa, nel maggio scorso.
Il Capo dello Stato ha voluto quindi condividere l’idea della “sovranità europea” come concezione di un momento identitario comune sui valori, ma anche e soprattutto come declinazione della responsabilità e del dovere di solidarietà. E qui estremamente significativo è stato il passaggio del presidente Mattarella sulle politiche migratorie che si attendono dall’Europa.
“I migranti non sono nemici”, è stato il monito del presidente, il quale ha proseguito affermando che “La politica migratoria rimane un vulnus recato alla coscienza europea. Alla pandemia abbiamo saputo dare una risposta europea, alla crisi economica altrettanto. Alle migrazioni, ovvero al tema che in grande misura oggi interpella i nostri valori, al tema che più di altri mette in gioco la nostra capacità geopolitica e la nostra visione del futuro, non siamo ancora riusciti a dare una risposta adeguata, efficace e comune”.
Il presidente della Repubblica ha quindi tenuto a sottolineare che la pressione migratoria “è il risultato delle grandi differenze nella distribuzione del benessere tra i continenti, dell’ampia diversità dei tassi demografici, dell’impatto dei cambiamenti climatici; ma è anche il prodotto di decenni di omissioni, conflitti, diseguaglianze. In una frase: del mondo che abbiamo contribuito come europei a plasmare e del quale rechiamo ampia responsabilità”.
Per il presidente dunque “donne, bambini, uomini in fuga, difficilmente possono essere individuati come un nemico”. Ed ha ricordato che “Già all’epoca della Seconda guerra mondiale l’indifferenza, se non la aperta ostilità verso i profughi che bussavano alle frontiere, caratterizzò una stagione che sarebbe stata segnata da crimini efferati, dei quali l’umanità non deve perdere il ricordo”. Da lì, ha sottolineato ancora, “nacque la Dichiarazione dei diritti dell’Uomo, con validità universale. Essa chiede a tutti i protagonisti della vita internazionale di rispettarli e, prima di essere rigorosi nel reclamarne il rispetto da parte degli altri Stati, di onorarne per primi i principi, a partire dai diritti umani dei migranti”.
Il capo dello Stato ha quindi sollecitato una politica dell’immigrazione e dell’asilo “all’altezza dei valori che sono alla base del progetto di integrazione europea”, evidenziando che ogni progetto europeo di “prosperità e benessere” deve includere anche “una strategia dell’accoglienza – sostenibile ma concreta – in sintonia con le complesse sfide dell’oggi”. Il presidente è quindi stato esplicito: “Abbiamo bisogno di una politica dell’immigrazione che proietti stabilità intorno a noi, che contribuisca a riassorbire le tensioni e a dare una spinta allo sviluppo dei nostri vicini, in particolare per quanto riguarda il continente africano, che già da tempo dovrebbe essere individuato, prima di ogni altra considerazione, come un partner per l’Unione. In questo senso la gestione delle migrazioni deve divenire parte integrante dell’azione esterna dell’Unione”.
Per inciso va detto che l’interesse per l’Africa è stato un tema ricorrente dei colloqui tra il presidente francese e quello italiano, nel corso dei quali sarebbe stata colta anche una espressione eloquente del presidente Mattarella: “In Italia qualcuno si illude che si possa mettere il cartello divieto d’ingresso (…). Il sostegno all’Africa, ha proseguito, è un’esigenza oltre che un obbligo anche storico di solidarietà”.
In definitiva dai discorsi fatti a Parigi emerge un j’accuse ai ritardi e alle reticenze dell’Unione Europea sulle politiche migratorie, su cui il presidente Mattarella ha voluto sollecitare l’endorsement della Francia, anche in vista del prossimo turno di presidenza francese al Consiglio europeo e dei contenuti che l’Italia intende conferire alla nuova intesa bilaterale del Trattato del Quirinale.
Il Trattato del Quirinale e gli interessi nazionali.
Nel corso dell’incontro di Parigi si è parlato dunque del “Trattato bilaterale di cooperazione rafforzata” Italia-Francia, denominato Trattato del Quirinale, Traité du Quirinal, in analogia al più noto Trattato dell’Eliseo del 1963. Quest’ultimo ha sugellato in vari aggiornamenti le più complesse relazioni tra Francia e Germania, e di fatto ha consentito ai due Paesi, storici nemici fino all’ultima guerra, di conquistare la leadership europea degli ultimi anni, specie dopo la brexit della Gran Bretagna.
In verità nel corso della visita non vi è stata occasione per illustrare i punti salienti del Trattato e si è fatto un richiamo generale ad una volontà di cooperare sulla base dei richiamati valori europei. Si è annunciato tuttavia che uno degli obiettivi del trattato sarà l’istituzione del “Servizio civile franco-italiano”, che per il Presidente Macron “permetterà di offrire ai popoli e ai giovani vere prospettive e consentirà che i giovani si impegnino insieme” in progetti sociali e culturali, un approccio di una visione strategica sul futuro delle giovani generazioni che indubbiamente appare suggestivo.
Ma i temi centrali del Trattato sono probabilmente altri. Anche se un testo non è stato reso pubblico, sembra ormai in fase di stesura definitiva. L’attesa è sulle formule che saranno adottate per definire la cooperazione su politica estera, politica di difesa comune, crescita, occupazione, ambiente, ma anche sulle politiche migratorie, industriali e commerciali, i terreni sui quali si era arenato il progetto intrapreso oltre due anni orsono.
Il Traité du Quirinal era stato proposto da Emmanuel Macron nel gennaio 2018 in occasione della sua visita in Italia, ma poi era stato posto in stand bay perché diverse componenti avevano prospettato il rischio di assegnare al Bel Paese un ruolo subordinato nella futura intesa, e comunque vi erano interessi nazionali divergenti da tutelare. A parte alcuni momenti critici dei rapporti fra i due Paesi dopo l’avvicinamento di esponenti governativi italiani al movimento dei gilets jaunes, gli interrogativi sul rapporto con la Francia hanno riguardato temi molto delicati. Suscitava in primis una forte perplessità l’idea che potesse avallarsi un’idea di politica di difesa europea, che dai tempi di De Gaulle la Francia tende sempre a differenziare nel concetto di “autonomia strategica” rispetto al patto euro-atlantico con la Nato. Le controversie sono poi sorte sulla posizione di resistenza francese sul piano dei ricollocamenti dei migranti, che non dava alcuno spazio alla esigenza dell’Italia di ripartire il fardello della pressione migratoria. Le criticità hanno anche riguardato la scelta francese sulla Libia in favore del generale di Haftar, l’uomo forte della Cirenaica evidentemente garante degli interessi petroliferi francesi nell’area, rispetto al governo di accordo nazionale allora guidato dal primo ministro Fayez al-Serraj, appoggiato dall’Onu e sostenuto con molta convinzione dall’Italia, che ovviamente doveva invece tutelare gli interessi energetici nazionali.
Ma il confronto era stato molto acceso negli anni in generale sulle politiche industriali, commerciali e finanziarie, con la competizione che si era sviluppata in una progressiva escalation ad esempio per i programmi F-35 e STX-Fincantieri, ma anche sulle scalate ostili di Vivendi, Mediaset, Telecom, e sui progetti di penetrazione finanziaria in settori strategici dell’economia, quali Ubi Banca, Mediobanca, Generali. Oggi il Trattato del Quirinale parte invece da posizioni fortemente ravvicinate proprio sulle politiche industriali e commerciali, per le quali l’intesa dovrebbe migliorare i rapporti con un allineamento delle regole e un’intensificazione del dialogo, specie in rapporto alla declinazione del golden power nel controllo degli investimenti stranieri sugli assetti strategici nazionali. Molto attesa è quindi la policy di cooperazione sull’industria della difesa, in quella aerospaziale, ma anche nella microelettronica, nell’automotive e nel cloud computing.
Ma sullo sfondo vi è una maturata visione strategica comune che è partita dallo scacchiere libico, in cui ora Francia e Italia condividono l’appoggio al nuovo governo libico e l’interesse di porre fine alle interferenze di Russia e Turchia in quell’area del Mediterraneo.
Come è condivisa in generale l’approccio globale alla sicurezza e all’azione counter-terrorism, a partire dalla Siria e dal Sahel. Per lo scacchiere africano, dalla sponda nord del mediterraneo al Sahel e all’area centroafricana, pure dopo l’annuncio francese di “riconfigurazione” della presenza francese in supporto del governo del Mali, Francia e Italia si ritrovano comunque alleate, come nella missione europea Task Force Takuba: anche in questo caso sono comuni gli interessi italiani e francesi a stabilizzare l’Africa con l’ obiettivo di contrastare da un lato le reti criminali, terroristiche e i trafficanti dei migranti, e dall’altro l’espansione dell’influenza turca, russa e cinese nella regione.
Le conclusioni: le frizioni Italia-Francia “fanno parte del passato”.
In definitiva, la foto dell’abbraccio con cui il presidente francese ha accolto quello italiano è la plastica rappresentazione di un’intesa che potrà far bene tanto alla Francia quanto all’Italia. Lo stesso Presidente Macron ha sintetizzato il senso compiuto della nuova cooperazione fra le due Nazioni: “Ci sono state frizioni, ma penso che ora facciano parte del passato”. Ed ha quindi ringraziato l’Italia proprio per il contributo italiano nella missione antiterrorismo Takuba nel Sahel, di cui si è fatto cenno.
Ma il presidente Macron aveva già avuto diverse occasioni di dimostrare correttezza e sincerità nella riapertura dei rapporti con l’Italia. I segnali giunti sono stati diversi, non ultimi quelli sulla revisione della “dottrina Mitterand” che ha inaspettatamente risposto alla domanda di giustizia ancora viva sulla tragedia del terrorismo italiano, che sta proseguendo ora con l’esame di nuove estradizioni.
E l’intesa franco-italiana, insieme a quella tedesca, è stata forte ed esplicita anche al recente G7, quando ad esempio è stato il momento di marcare la differenza del multilateralismo “inclusivo” europeo rispetto alla proposta di un “fronte comune” Usa-Europa in funzione anticinese, la “sfida sistemica” voluta dal Presidente Biden, che può minacciare le prospettive di intese faticosamente ricercate dall’Europa anche con la Cina, specie sui cambiamenti climatici e sulle politiche commerciali.
Il presidente Macron ha dato un segnale di apertura anche sul piano dei ricollocamenti, atteso che, dopo l’accordo di Malta, sui soli 995 migranti che l’Italia è riuscita a ricollocare in Europa la Francia ne ha accolti più della metà. É quindi plausibile che proprio con l’avvio del turno di presidenza francese del Consiglio europeo si possa ripensare ad un nuovo piano dell’immigrazione e dell’asilo europeo che alleggerisca il peso della pressione sull’Italia
Il presidente francese ha poi dimostrato ampio sostegno alla leadership italiana nella presidenza del G20, che sta tracciando gli impegni delle 20 più grandi economie del mondo nella lotta alla pandemia e sulle altre grandi sfide globali: cambiamenti climatici, salute mondiale, sicurezza alimentare, innovazione tecnologica, sviluppo sostenibile, lotta alle diseguaglianze e all’empowerment, in specie nel continente africano. In particolare, deciso ed esplicito è stato l’intervento del presidente Macron a favore della proposta italiana avanzata dal presidente Mario Draghi sulla “sospensione dei brevetti” per raggiungere l’obiettivo della vaccinazione globale. Al Global Health di Roma del maggio scorso, il presidente francese ha infatti dichiarato: “Non ci dev’essere nessun tabù, ogni volta che la proprietà intellettuale è un ostacolo dobbiamo dare una risposta. Se le conclusioni del G20 implicheranno l’uso di nuove misure in materia di proprietà intellettuale le sosterrò”.
Si può quindi dire che la scelta della Francia come destinazione della prima visita ufficiale all’estero, dopo l’emergenza pandemia, del presidente della Repubblica è stata una testimonianza di riconoscenza alla attenzione francese, che sembra dunque sostenere l’Italia nell’ingresso in quell’asse Francia-Germania che sinora ha guidato l’Unione Europea e che sarà ancora più centrale, anche per ciò che i tre Paesi esprimono insieme, in termini economici, ma non solo. Non a caso il presidente Mattarella ha voluto ricambiare il ringraziamento alla Francia richiamando le posizioni comuni espresse sia sulla lotta al virus che sul Recovery fund, sul quale il Capo dello Stato ha tenuto a sottolineare la posizione “particolarmente preziosa” della Francia perché “l’Unione acquisisse consapevolezza della drammaticità della condizione economica provocata dalla pandemia”.
Sono dunque maturi i tempi per definire, come ha concluso il presidente Mattarella, “forme e percorsi a questa collaborazione così intensa”, per dare un senso compiuto e definitivo all’dea di quel Trattato del Quirinale, che perciò non merita essere ricordato ancora per un accostamento ingiusto alla metafora dell’”araba fenice”: che vi sia ciascun lo dice, ove sia nessun lo sa.
*Membro dell’International Law Association, dell’Associazione Italiana Giuristi Europei e della Associazione Italiana di Sociologia.